Eco WorldCos'è il greenwashing, come riconoscerlo ed evitarlo

Cos’è il greenwashing, come riconoscerlo ed evitarlo

Greenwashing: cos’è esattamente e perché se ne parla ogni giorno di più? Scopriamolo insieme in questo articolo dedicato ad uno dei temi centrali della comunicazione legata alla sostenibilità!

Negli ultimi anni, ad una crescente attenzione verso la sostenibilità, è seguito un cambiamento delle strategie di marketing che ha prodotto una nuova tattica detta greenwashing

Il greenwashing è ovunque, è un fenomeno assolutamente trasversale che interessa aziende, servizi, istituzioni ed enti di ogni genere.   

Tutti vogliono far parte della rivoluzione green, perché è bella, perché è giusta o semplicemente perché…vende!

Molte aziende, specie quelle più grandi infatti, non si prodigano per il bene del pianeta, al contrario fanno pubblicità ingannevole per amore di aumentare le vendite ed il fatturato. 

In una società in cui le persone si sono progressivamente allontanate dalla natura a favore della città e della vita frenetica ad essa legata, l’attenzione per il rispetto dell’ambiente è tornata di prepotenza come una necessità impellente. 

Lo si vede da eventi come il Plastic Free July, oppure quelli organizzati dai Friday for Future in tutto il mondo fin dal 2018, e ce lo ricorda annualmente l’Overshoot day

Il nostro pianeta ha equilibri precari ed i suoi ecosistemi vanno salvaguardati, per questo è importante prendere parte alla rivoluzione green, senza che però questa diventi una scusa per accaparrarsi vendite illecite. 

Per fortuna il consumatore consapevole esiste e ne abbiamo anche un identikit: età media piuttosto giovane, sesso femminile, istruzione medio-alta.  

Ma se non ti riconosci in questo identikit niente è perduto: continua a leggere per capire meglio cos’è il greenwashing e come evitare di diventarne una vittima inconsapevole

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Cos’è il greenwashing? Definizione e significato

Il greenwashing, letteralmente “Lavaggio verde” o “Lavare il verde” è una strategia di marketing che occulta l’impatto ambientale negativo di un marchio o un evento spacciandolo invece per sostenibile. 

cos'è il greenwashing

Si fa presto a dire green, ma ad uno sguardo più attento si scopre che di green c’è solo la facciata. 

Il termine risale a quasi 40 anni fa, fu infatti coniato nel 1986 dall’ecologista Jay Westerveld. 

Oggi per fortuna sempre più leggi obbligano aziende e piccoli imprenditori a diminuire l’impatto ambientale, questo però non vieta di trovare astuti e poco etici sotterfugi per accaparrarsi la propria fetta di mercato. 

Noncuranti di richiami e multe da parte degli enti competenti, anziché cambiare il modo di fare business, molte aziende cavalcano l’onda green senza andare in profondità nel mare della sostenibilità. 

È facile quindi, in qualità di consumatori, cadere nella trappola del greenwashing se ci si lascia attrarre dal colore della confezione o da qualche slogan ecologico.

Ma il consumatore attento, il consumatore eco-logico, dà sempre un secondo sguardo, controllando l’inci, la provenienza del prodotto, la presenza o meno di certificazioni che attestino la reale sostenibilità del prodotto, fino a cercare informazioni sull’azienda produttrice ed il suo impatto a 360°.

Sicuramente starai pensando: 

“Che impegno che ci vuole se bisogna controllare tutto questo per ogni prodotto o servizio che si acquista!”

In realtà non è così complicato, perché una volta che lo si fa in automatico ci vuole un attimo a riconoscere il greenwashing

Gli esempi ci arrivano ogni giorno anche da grandi eventi nazionali, aziende distributrici di energia e personaggi dello showbiz.  

Come riconoscere il greenwashing

È arrivato il momento di scendere direttamente sul campo per capire come riconoscere il greenwashing associato a prodotti, servizi ed eventi: 

  1. Dati sono inesatti o incompleti
  2. Focus solo su alcune caratteristiche vagamente ecofriendly
  3. Processo produttivo occultato
  4. Certificazioni rilasciate da enti non affidabili o non accreditati
  5. Utilizzo di termini tecnici ambigui o poco comprensibili 

Nel prossimo paragrafo citiamo alcuni esempi di greenwashing relativi ad aziende molto note ed eventi nazionali dal grande richiamo mediatico. 

come riconoscere il greenwashing e come evitarlo

Quando ci si trova davanti a casi di greenwashing quello che consigliamo di fare è rivolgersi alle associazioni del consumatore come l’AECI o l’Unione Nazionale dei Consumatori

Le segnalazioni infatti rendono possibili le indagini a norma di legge, per verificare se l’azienda o l’ente in questione stia o meno facendo pubblicità ingannevole e se dovrà o meno essere sanzionato.  

La pratica del greenwashing in Italia è presente nel piano normativo del nostro Paese solo dal 2014

L’Istituto Autodisciplina Pubblicitaria ha pubblicato la 58° edizione del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, con un primo riferimento all’abuso di diciture sulla tutela ambientale:

“La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono”.

Quali aziende fanno greenwashing? Ecco alcuni esempi

Le aziende che stiamo per citare sono state multate o chiamate in causa dagli enti competenti per greenwashing, mentre gli eventi sono stati e sono tuttora sotto la eco-lente di ingrandimento. 

Parliamo di casi in cui vestire il tanto acclamato abito green (alcuni letteralmente) ha come unici fini il miglioramento della propria immagine pubblica e l’aumento del profitto.

Il caso Jova Beach Party 

Apriamo subito con il caso del momento, ovvero le conseguenze ambientali del Jova Beach Party, evento che raggruppa fino a 50 mila persone sulle spiagge in giro per l’Italia. 

La procura di Lucca ha aperto un’indagine: il reato ipotizzato dalla magistratura sarebbe il 733 bis del codice penale, ossia quello legato alla distruzione o deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto.

A rischio c’è il fragile equilibrio dell’ecosistema litorale, tra sistemi dunali e animali protetti che nidificano come il fratino e la tartaruga marina. 

Ma il noto cantante spaccia i suoi eventi sostenuti dal WWF per eco-friendly e ribatte con insulti alle affermazioni degli ambientalisti. 

Sanremo 

Il greenwashing a Sanremo è stato fatto con un grande tappeto verde e con lo sponsor di Plenitude, brand di Eni luce e gas, che annunciava di entrare nel business della mobilità sostenibile elettrica e del fotovoltaico. 

Peccato che la stessa Eni sia ancora tra le 30 aziende mondiali responsabili del maggior quantitativo di gas serra emessi in atmosfera.

Eni 

Eni, come appena scritto, con Plenitude a Sanremo ha cercato di occultare il suo impatto ambientale negativo.

Greenpeace sostiene infatti che la decarbonizzazione promessa ha ritmi troppo lenti, e le dichiarazioni in merito di sostenibilità non sono del tutto veritiere.

Chiara Ferragni

La capostipite delle influencer, simbolo di un consumismo per nulla ecofriendly, è stata addirittura appellata “La regina della sostenibilità” da alcune testate online, ma vediamo da dove nasce questo ossimoro green

Al Festival di Cannés, la Ferragni ha indossato un abito verde (guarda caso) con spalline e decoltè decorati da fiori d’alluminio creati riciclando le capsule della Nespresso, con cui l’influencer collabora.

Peccato che le capsule, nonostante la millantata politica di parsimonioso ritiro e riciclo da parte dell’azienda italiana di caffè, restano prodotti altamente inquinanti nonché superflui rispetto al loro corrispettivo 100% sostenibile: la semplice polvere di caffè (meglio se bio) con la mitica moka.

Shell

La multinazionale è stata multata dall’Authority britannica a causa di uno spot che parlava di sostenibilità riferita all’estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose del Canada (nonostante si trattasse invece di emissioni dieci volte superiori a quelle del greggio).

Ferrarelle

In una pubblicità, la nota azienda di acqua imbottigliata dichiarava che le sue bottiglie fossero ad impatto zero in quanto si impegnava a piantare alberi. 

Questa azione ecofriendly, però non compensava la totale emissione di anidride carbonica dell’azienda. 

L’espressione “impatto zero” era usata dunque in maniera illecita e per questo fu sanzionata.

San Benedetto 

La nota azienda di acqua in bottiglia italiana fu multata per l’operazione di marketing che definiva la propria bottiglia in plastica “amica dell’ambiente” (le parole usate nella pubblicità includevano “prodotte con meno plastica, meno energia e più amore per l’ambiente).

Sant’Anna 

La nota ditta italiana promuoveva delle caratteristiche migliori rispetto a quelle reali, direttamente sulle sue bottiglie, e per questo nel 2012 fu sanzionata anch’essa

Coca Cola

Anche il colosso delle bibite, uno dei maggiori inquinatori al mondo, ha avuto il coraggio di fare pubblicità ingannevole usando colori e slogan ambigui sul basso contenuto di calorie grazie all’utilizzo di Stevia al posto dello zucchero.

Lo slogan era: “Dolcezza da fonti naturali” e la confezione verde con il simbolo della fogliolina traeva molti consumatori in inganno. 

Inoltre, nel 2021 la Earth Island Institute fece causa alla Coca-Cola che si definiva “sostenibile ed ecologica”. 

A dispetto di slogan come: “Un mondo senza rifiuti”, “Il nostro pianeta è importante” o  “Riduciamo la nostra impronta di carbonio”, il rapporto Break Free From Plastic Global Cleanup e Brand Audit nominò Coca-Cola l’azienda numero uno tra gli inquinatori di plastica. 

McDonald’s

Il colosso dei fast food ha provato diverse volte a cavalcare l’onda green, con scarsi risultati in quanto a credibilità. 

La vendita di carne e latticini a basso costo e su larga scala infatti, non può che essere strettamente legata agli allevamenti intensivi, una delle maggiori cause di inquinamento e deforestazione mondiali. 

Serve a poco dunque la politica di sostenibilità rispetto al packaging (tutti in materiali riciclati entro il 2025) o l’annuncio dell’apertura di un ristorante 0 emissioni in Inghilterra. 

H&M

La nota catena di abiti fast fashion, ben lontana dalla vera moda sostenibile, utilizzava delle etichette verdi che evidenziano la sostenibilità di alcuni prodotti ed è stato denunciato per aver utilizzato informazioni falsificate e fuorvianti. 

Quartz ha indagato su queste etichette e i suoi report parlano di “Un’immagine completamente sbagliata dell’impatto di un capo di abbigliamento sull’ambiente. 

Adidas 

Anche il noto marchio di abbigliamento e calzature sportive è stato multato per aver usato slogan fuorvianti come100% riciclato” o “soluzione contro i rifiuti di plastica” per alcuni modelli di scarpe (“FutureCraft Footprint”). 

Infatti l’omissione sull’impatto ambientale del poliestere riciclato o sull’impossibilità tecnica del suo riciclo infinito è un altro caso di greenwashing. 

Conclusione

C’è da dire che per fortuna non è tutto marcio intorno alla sostenibilità aziendale: c’è chi davvero si impegna ad intraprendere un piano di transizione ecologica e fa del green claim, ovvero un marketing onesto e verificabile che informa sulle pratiche virtuose messe in atto. 

Ovviamente la transizione ecologica ha bisogno di passi quotidiani che non sono di certo un processo rapido da 1 a 100 in un giorno. 

L’importante è avere chiaro il modello produttivo e di consumo che si vuole raggiungere e che sia più sano per noi e per l’ambiente. 

Esistono società specializzate nell’offrire servizi ad enti pubblici e privati che vogliono intraprendere la greenway, una di queste è Green Intelligence. 

Dai dati di Green Intelligence è chiaro come i consumatori siano sempre più consapevoli e abbiano ben chiaro cosa vogliono da un prodotto green. 

Solo il 39% dei consumatori si ferma alla facciata ecologica del prodotto, mentre il 21% di essi si interessa di più al processo di produzione

Ben il 40% invece dà la stessa importanza alle caratteristiche ecologiche del prodotto e al processo industriale con cui è prodotto.

Il greenwashing agisce dunque da boomerang sulle aziende che lo praticano, perché se i consumatori scoprono la loro poca trasparenza non perdonano: cambiano azienda per sempre.

La green economy, d’altro canto, è uno dei settori più in crescita, stimola la ricerca, crea nuovi posti di lavoro e canalizza grossi investimenti.

Gli apripista in tal senso sono i settori alimentare, edilizio, arredamento ed energetico, ma le ricerche rivelano che almeno i due terzi dei manager aziendali sono in ritardo rispetto alla domanda sempre più estesa. 

Per concludere ciò che i consumatori chiedono è trasparenza: ovvero passare dalle parole ad elementi oggettivi che dimostrino che c’è una reale attenzione all’ambiente da parte delle aziende. Il boomerang del tutto positivo sarà solo in termine di affidabilità e credibilità nel tempo.

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